Con il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027, l’Unione europea aumenta i fondi destinati alla gestione della migrazione. Infatti, negli ultimi anni le politiche di esternalizzazione del controllo dei flussi migratori sono diventate il centro della programmazione europea in questa materia.
Come ben illustrato dal quarto rapporto ARCI sulle politiche di esternalizzazione, “Finanziare il confine. Fondi e strategie per fermare l’immigrazione”, prodotto nell’ambito della terza edizione del progetto Externalisation Policies Watch, l’Unione europea ha ampliato gli investimenti miranti al contenimento dei movimenti migratori, con ricadute sui paesi di origine e di transito, come raccontato nel rapporto da Giorgia Jana Pintus, Sara Prestianni, Jérôme Tubiana e Clotilde Warrin.
Il QFP 2021-2027
Dal 1998, le spese della Comunità Europea, prima, e dell’UE, poi, sono state inserite in un quadro finanziario pluriennale. Per mezzo del QFP, l’Unione europea pianifica la propria spesa per periodi di sette anni, stabilendo gli importi massimi e la composizione delle spese, destinandole alle principali priorità di bilancio per il periodo interessato. Bisogna precisare che il quadro finanziario pluriennale non è un budget che comprende diversi anni. Piuttosto, i bilanci annuali dell’UE devono essere negoziati ogni anno dalla Commissione europea, dal Consiglio e dal Parlamento europeo entro i limiti stabiliti dal QFP stesso. Il quadro finanziario pluriennale risponde alle esigenza di prevedibilità ed efficienza dell’Unione europea e traduce in termini finanziari e giuridici le priorità politiche definite dall’Unione europea e dagli Stati membri
Il quadro finanziario pluriennale suddivide la spesa dell’UE in categorie – rubriche – che corrispondono, per l’appunto, alle aree di intervento e alle priorità politiche dell’Unione. All’interno di ogni rubrica, i finanziamenti sono erogati principalmente attraverso programmi di finanziamento, come ad esempio Erasmus Plus, oppure attraverso fondi, come il Fondo Asilo e Migrazione.
Per il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 sono state previste sette rubriche (più il pacchetto Next Generation EU). Per la prima volta, una delle rubriche è stata dedicata alla Migrazione e gestione delle frontiere, la rubrica 4. Tuttavia, nell’ottica dell’approccio globale del controllo dei flussi migratori, fondi destinati alle politiche migratorie sono previsti anche nella rubrica 5, Resilienza, Sicurezza e Difesa, e nella sesta, Vicinato e resto del mondo, che finanzierà l’azione esterna in ambito migratorio per mezzo dello Strumento di Vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale.
Il quadro finanziario 2012-2027 supporta soprattutto gli obiettivi di politica migratoria in termini di gestione delle frontiere, rimpatri ed esternalizzazione del controllo della migrazione nei paesi di origine e di transito, investendo di più sulla dimensione esterna della migrazione, nell’ottica di un approccio globale di controllo e limitazione, che dai paesi di origine giunge ai confini esterni dell’Unione europea.
Ma dove possiamo rintracciare i fondi dedicati a questi scopi?
Migrazione e gestione delle frontiere: una novità nell’esternalizzazione della gestione della migrazione
Come accennato in precedenza, il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 ha creato una nuova rubrica dedicata a Migrazione e gestione delle frontiere (rubrica 4), comprensiva di due fondi: il Fondo asilo e migrazione (Asylum and Migration Fund – AMF) e il Fondo per la gestione integrata delle frontiere (Integrated Bordere Management Fund – IBMF)
L’AMF si prefigge una migliore gestione della migrazione, focalizzandosi su alcuni obiettivi specifici: i) aiutare gli stati membri sottoposti a forti pressioni migratorie in maniera più efficace; ii) favorire maggiormente la migrazione legale; iii) combattere la migrazione irregolare, aumentando i rimpatri e cooperando con i paesi terzi per la riammissione; iv) dotare l’UE di mezzi più rapidi e più flessibili per reagire alle crisi. Tali obiettivi evidenziamo come, rispetto alla precedente programmazione 2014-2020, il fondo abbia mutato la sua natura, mettendo da parte l’obiettivo dell’integrazione dei cittadini stranieri (e, difatti, la denominazione cambia, da FAMI a FAM), spostando le azioni volte all’inclusione dei nuovi arrivati nel capitolo dedicato alla politica di coesione, finanziandole, ad esempio, con il Fondo Sociale Europeo plus (FSE+) e con il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR). L’idea alla base è di non realizzare più interventi specifici per i migranti, ma di includerli nelle politiche a favore della popolazione svantaggiata.
L’IBMF mira a i) rafforzare le frontiere esterne, ii) una politica più solida ed efficace in materia di visti; iii) sostenere gli stati membri in materia di gestione delle frontiere; iv) una maggiore flessibilità in caso di necessità; v) migliori attrezzature per il controllo doganale alle frontiere esterne e, last but not least, vi) rafforzare le agenzie incaricate delle gestione delle frontiere dell’Unione europea. A titolo d’esempio, l’Agenzia di guardia di frontiera e costiera, Frontex, ha visto aumentare notevolmente i fondi ad essa destinati, così come il numero di unità di cui dispone e da dispiegare ai confini dell’UE e dei paesi non-UE.
In entrambi i fondi viene posto particolare accento sulla flessibilità, attraverso dispositivi di emergenza allocabili con procedimenti semplificati o riserve all’interno dell’AMF (ma anche del Fondo di Sicurezza Interna e dello Strumento di Vicinato, Cooperazione allo Sviluppo e Cooperazione Internazionale), attivabili in situazioni di pressione migratoria.
La Commissione europea afferma che il valore aggiunto della rubrica 4 dovrebbe essere quello di gestire elevati numeri di arrivi di migranti e richiedenti asilo con strumenti per la migrazione legale. Tuttavia, ciò che appare evidente è un aumento delle risorse per i rimpatri e per la gestione delle frontiere, a detrimento di quelle volte al rafforzamento del sistema comune d’asilo, all’incremento delle vie di migrazione legale e all’uniformazione dell’accoglienza. Tale cambiamento sembra essere avvalorato anche dai dati forniti dalla Commissione: le spese riguardanti migrazione, asilo e gestione delle frontiere superano di oltre il 160% quelle del QFP precedente, quasi il 60% è destinato alla gestione delle frontiere e meno del 40% a migrazione e asilo. Guardando ai dati al momento disponibili, le allocazioni per la gestione delle frontiere sono maggiori del 120% rispetto al QFP 2014-2020, mentre quelle per asilo e integrazione lo sono del 30%.

Il Fondo per la Sicurezza Interna: l’esternalizzazione sempre più una questione di sicurezza
Oltre alla Rubrica 4, prettamente dedicata alla gestione delle migrazioni, è previsto l’uso di altri strumenti del QPF 2021-2027 per la gestione delle migrazioni, sia per gli affari interni che per la dimensione esterna. La Rubrica 5, Resilienza, Sicurezza e Difesa, e la Rubrica 6, Vicinato e resto del mondo, prevedono sinergie con i fondi poc’anzi descritti.
In particolare, il Fondo per la Sicurezza Interna, rubrica 5, (Internal Security Fund – ISF) può interagire con l’AMF e l’IBMF. La sorveglianza e l’individuazione del contrabbando di merci illegali, di armi e affini, di flussi migratori irregolari e i controlli di sicurezza alle frontiere esterne sono ritenuti indispensabili per il mantenimento della sicurezza dell’intera UE. Un altro importante elemento delle sinergie con le politiche in materia di migrazione e frontiere riguarda l’ampliamento dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.
Inoltre, ha una forte dimensione esterna, prevedendo la possibilità di sostenere iniziative in paesi terzi, al fine di garantire complementarietà con le priorità della sicurezza interna e con gli obiettivi generali perseguiti nei paesi interessati.
Lo Strumento europeo di Vicinato, Cooperazione allo Sviluppo e Cooperazione Internazionale: la dimensione esterna della gestione delle migrazioni
Per quanto riguarda la Rubrica 6, comprensiva delle risorse per l’azione azione esterna dell’Unione europea, lo Strumento di Vicinato, Cooperazione allo Sviluppo e Cooperazione Internazionale (Neighbourhood, Development, and International Cooperation Instrument – NDICI) finanzia l’azione esterna in ambito migratorio. Allo NDICI sono allocate il 72,5% delle risorse della Rubrica 6, anche a seguito dell’assorbimento e dell’integrazione – nell’ottica di una semplificazione delle modalità operative per consentire all’UE di rispondere agli imprevisti con maggiore flessibilità – di molteplici strumenti che nella programmazione precedente erano parte della rubrica che si occupava di azione esterna (Strumento di Vicinato; Strumento di Cooperazione allo Sviluppo; Strumento europeo per la Democrazie e i Diritti Umani; Strumento inteso a contribuire alla Stabilità e alla Pace; Strumento di Partenariato per la Cooperazione con i pasi terzo; Fondo di Garanzia per le azioni esterne), compreso il Fondo Europeo di Sviluppo, in precedenza fuori bilancio, con un incremento del 10% in termini reali delle risorse rispetto al QFP 2014-2020. Lo NDICI si divide in tre linee di finanziamento: il pilastro geografico, per promuovere il dialogo sociale e la cooperazione con i paesi terzi. Ciascuna dotazione regionale è adattata alle esigenze dei destinatari, soprattutto il vicinato dell’UE, per esempio il Nord Africa e l’Africa subsahariana; il pilastro tematico, dedicato al sostegno ai diritti umani e alla democrazia, alla stabilità e alla pace, nonché alle sfide globali, quali salute, istruzione, migrazioni volontaria e forzata, protezione sociale, insicurezza alimentare, ecc.; il pilastro di reazione rapida, per intervenire rapidamente ed efficacemente nella prevenzione dei conflitti e per rispondere a situazioni di crisi e instabilità, per contribuire a migliorare la resilienza dei partner e per adottare azioni tempestive che affrontino le esigenze e le priorità della politica estera dell’UE La questione migratoria è ampiamente presente nelle diverse linee di finanziamento dello Strumento, sia nel pilastro geografico che in quello tematico, con un target orizzontale di spesa, che dovrebbe essere pari al 10%, dedicato al contrasto delle cause profonde della migrazione irregolare e delle migrazioni forzate, al supporto della gestione della migrazione, alla protezione dei rifugiati e dei richiedenti asilo.
Inoltre, viene ritenuto essenziale rafforzare e approfondire la cooperazione con i paesi partner sui flussi migratori, per cogliere tutti i vantaggi di flussi regolari e ben gestiti, per rafforzare la gestione delle frontiere, per proseguire nella lotta contro la migrazione irregolare, la tratta e il traffico di esseri umani, nonché “moltiplicare l’impegno sul fronte dei rimpatri, della riammissione, dei reinserimenti, sulla base della responsabilità reciproca”. Infine, per le situazioni di emergenza si attingerebbero risorse dal pilastro di reazione rapida e dal fondo di emergenza allo scopo di agire in modo più rapido e con maggiore flessibilità per poter spostare le risorse dove servono quando il contesto internazionale cambia.

Alcune criticità possono essere evidenziate. In primo luogo, il persistere del principio di condizionalità positiva (more for more principle) rende l’aiuto subordinato ai progressi sia in termini di democrazia, diritti umani, economia e riforme, ma anche alla capacità e alla volontà dei paesi terzi di collaborare in materia di migrazione, soprattutto per quanto riguarda rimpatri, riammissioni e rafforzamento dei confini. In secondo luogo, la cooperazione allo sviluppo viene considerata come un mezzo di pressione sui paesi terzi, facendo emerge una pericolosa connessione tra migrazione, sicurezza e cooperazione allo sviluppo ai fini dell’esternalizzazione della gestione delle migrazioni, come è stato evidente in diversi programmi finanziati dal Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa (European Union Emergency Trust Fund for Africa). In terzo luogo, il perseguimento di obiettivi securitari ha portato l’UE a stringere accordi con paesi instabili, in molti casi guidati da governi autoritari, colpevoli di azioni repressive sulla popolazione migrante e locale e che hanno contribuito ulteriormente all’instabilità delle regioni di origine e di transito, come dimostrano le esperienze in Sahel e Nord Africa. Infine, la flessibilità va a scapito della trasparenza, del controllo democratico sulle risorse e, in alcuni casi, del rispetto dei diritti umani. La flessibilità consente decisioni di finanziamento rapide, ma allo stesso tempo esiste il rischio che tali decisioni siano incompatibili con le basi giuridiche e la normativa dell’UE esistenti, proprio come quelle riguardanti gli aiuti umanitari e lo sviluppo.
Gli effetti delle politiche di esternalizzazione della gestione delle migrazioni: alcuni esempi sulla rotta del Mediterraneo centrale e sul Sahel
Il Mediterraneo centrale
Il rapporto di ARCI, “Finanziare il confine. Fondi e strategie per fermare l’immigrazione”, ci riporta alcuni esempi di come i finanziamenti europei sono stati impiegati per esternalizzare la gestione delle migrazioni in Nord Africa e Sahel, spesso a scapito del diritto internazionale ed europeo.
I finanziamenti europei, ed italiani, hanno supportato e finanziato le guardie costiere libiche, le quali hanno intercettato e riportato in territorio libico migliaia di migranti, nella maggior parte dei casi vittime di detenzioni ingiustificate, violenze e sfruttamento. A tre anni dalla firma del Memorandum of Understanding con la Libia, da allora puntualmente rinnovato, la situazione nel Mediterraneo centrale è sempre più preoccupante. Attraverso l’esternalizzazione del controllo delle frontiere, la criminalizzazione delle navi delle ONG e l’istituzione della zona SAR (Search and Rescue) libica, la guardia costiera libica ha operato quelli che sono stati definiti “respingimenti per procura”, riportando indietro i migranti in uno stato che di place of safety ha ben poco, come dichiarato anche dalla Organizzazione delle Nazioni Unite. Dal 2016 ad oggi la guardia costiera libica è stata supportata, formata ed approvvigionata con le operazioni EUNAV for MED (Sophia, prima, e Irini, ora), con il progetto Integrated Border Management finanziato dal Trust fund per l’Africa (coordinato dall’Italia), attraverso la missione EUBAM Libia e le attività di Frontex. Le testimonianze dei migranti respinti verso la Libia raccontano di torture, detenzioni arbitrarie e prolungate, uccisioni, stupri, lavoro forzato, sfruttamento. Crimini commessi da attori statali e non statali in un clima di quasi completa impunità.
Il Mali
Anche a sud del Sahara le politiche di esternalizzazione della gestione della migrazione sembrano orientate perlopiù ad un blocco dei migranti, delegando il compito a paesi di origine e di transito. Nel 2015, con la promulgazione della legge n. 36, il trasporto dei migranti è diventato illegale in Niger, portando ad una riduzione dei flussi migratori da 150 mila migranti ad un massimo di 10 mila nel 2019. Ciononostante, le persone non hanno smesso di mettersi in viaggio, ricorrendo a strade più lunghe e pericolose. Le politiche attuate dall’UE in Niger hanno portato alla riapertura delle rotte situate in zone instabili a nord del Mali, dove il trasporto dei migranti è divenuto parte delle attività di gruppi terroristici e criminali, dediti a traffico d’armi, di stupefacenti e di beni culturali, che hanno visto nel traffico di migranti una nuova opportunità di business.
Il Sudan
La rotta del Sudan è diventata la principale direttrice del percorso dei migranti dal Corno d’Africa al Mediterraneo a seguito della scoppio della crisi in Libia dal 2011. Così, il Sudan è diventato uno dei principali partner nell’UE per l’esternalizzazione della gestione della migrazione, grazie al lancio del Processo di Khartoum nel 2014 e al finanziamento di numerosi progetti, tra i quali due progetti che avevano lo scopo di addestrare la polizia di frontiera sudanese e di creare un centro di scambio di informazioni a Khartoum. Il partenariato fra Sudan ed UE consente al regime di mettere in ombra le guerre che porta avanti nelle zone limitrofe e che hanno generato milioni di sfollati e di utilizzare la questione migratoria per fare pressione sull’Unione europeo. Per soddisfare le richieste dell’Unione europea, il Sudan ha schierato migliaia di uomini delle Forze di Sostegno Rapido (RSF) lungo i propri confini con la Libia e l’Egitto. Le RSF sono una organizzazione paramilitare che riunisce le milizie arabe janjawid e che, nel 2017, avevano già monopolizzato il trasporto dei migranti, tassando loro e i passeur civili e sottoponendoli a violenze e abusi per poi venderli ai trafficanti libici. A seguito del colpo di stato che ha destituito il dittatore al-Bashir con un consiglio militare, nel 2019 sono stati sospesi i progetti di addestramento della polizia di frontiera e di costruzione del centro di intelligence. Tuttavia, parlare di sospensione non è del tutto corretto poiché il centro per lo scambio delle informazioni è stato spostato a Nairobi (Kenya) e quelli riguardanti l’addestramento della polizia di frontiere ritardati o posticipati.
Cambiamenti all’orizzonte o perpetuazione dell’esternalizzazione?
La proposta di un nuovo Patto per la migrazione e l’asilo presentato dalla Commissione il 23 settembre 2020 sembra aver introdotto qualche novità, ma in sostanza si concentra sugli stessi obiettivi di sempre: impedire gli arrivi in Europa, contrastare i c.d. movimenti secondari, i rimpatri. Difatti, nella nuova proposta per il Regolamento asilo e migrazione è rilevabile un esplicito riferimento alla collaborazione con i paesi terzi per facilitare rimpatri e riammissioni, con la possibilità per la Commissione di adottare qualsiasi misura per facilitare il raggiungimento dello scopo, a favore del quale è previsto l’utilizzo di una cospicua parte dalla componente tematica dall’AMF.
Lo stesso vale per la nuova Agenda per il Mediterraneo, presentata lo scorso 9 febbraio. Seppur introduca importanti cambiamenti sui temi economico e ambientale, lo stesso non si può dire con riferimento alla questione migratoria. Infatti, il punto di rifermento rimane il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, che si basa sugli obiettivi poc’anzi citati.
Sostanzialmente, si continua su una strada tracciata a partire dagli anni Novanta, con gli accordi formali ed informali fra Spagna e Marocco o tra Italia e Libia o Tunisia.
La strategia europea di delega ed esternalizzazione ai paesi africani della gestione delle migrazioni sembrerebbe aver avuto successo: nel 2015 le persone giunte via mare nel territorio dell’UE furono più di un milione, nel 2019 120.000. Tuttavia, l’approccio utilizzato si è rivelato “emergenziale nel metodo e securitario negli obiettivi”, probabile causa di danni a lungo termine.
L’utilizzo dei fondi della cooperazione per progetti che riguardano la gestione delle frontiere porta con sé una logica pericolosa per varie ragioni. In primo luogo, l’idea che lo sviluppo possa sradicare le cause della migrazione lascia in qualche modo sottintendere che chi arriva sulle coste dell’UE sta solo sfuggendo alla fame, trasformando potenziali richiedenti asilo in migranti economici. Inoltre, molti dei fondi destinati alla cooperazione internazionale non sono neanche destinati a progetti di sviluppo, ma a misure di controllo e repressione alla frontiera.
Il tema della sicurezza ha assunto una importanza via via crescente, con il contestuale aumento dei fondi ad essa dedicata, sia per la gestione delle frontiere all’interno che all’esterno dello spazio europeo. Inoltre, sembra essere funzionale al mercato europeo: ad esempio, l’EUTF prevede il finanziamento di progetti come WAPIS (West Africa Police Integration System)e GARCI-Sahel (Groupes d’Action Rapide – Surveillance et Intervention au Sahel), gestiti rispettivamente da Interpol e dalla Guardia Civíl spagnola, insieme ad altri progetti, come ad esempio i programmi d’appoggio alla riforma dello stato civile in Senegal e Niger attraverso l’introduzione di sistemi biometrici.
In conclusione, appare evidente che non è all’orizzonte un cambiamento radicale delle politiche europee in ambito migratorio. La maggior parte delle risorse continua ad essere destinata al contrasto dell’immigrazione irregolare e al rafforzamento dell’azione nei paesi terzi per bloccare le principali rotte verso l’Europa, in sostanza all’esternalizzazione.
Moltissime risorse sono destinate ad approfondire il nesso migrazione, cooperazione allo sviluppo, sicurezza. Quest’ultima è divenuta parte integrante di una politica mirante al raggiungimento degli interessi europei in Sahel e Nord Africa, che sono collegati soprattutto a ragioni di sicurezza. Fondi per migrazione e sviluppo sono sempre più spostati da “migrazione per lo sviluppo” verso approcci basati su “cause profonde” e “condizionalità. Visto come un mezzo per limitare i driver della migrazione irregolare, l’approccio delle cause profonde si basa su una comprensione incompleta di ciò che i finanziamenti possono fare nel processo di sviluppo e degli effetti di tali processi sui flussi migratori.
Sebbene la migrazione possa essere considerata come una priorità legittima da affrontare nel finanziamento dello sviluppo, non dovrebbe diventarne l’elemento principale.
Riferimenti bibliografici
Adam R., Tizzano A., Manuale di diritto dell’Unione europea, G. Giappichelli Editore, 2014, Torino;
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De Georgio A., Cosa c’è dietro il business della biometria in L’Espresso 19 marzo 2019
Torino R. e Di Maio C. (a cura di), Diritto e Politiche dell’Unione europea, Cedam-Wolters Kluwer, 2020 Milano
Pintus G. J. (a cura di), Finanziare il confine. Fondi e strategie per fermare l’immigrazione, ARCI, 2020.
Prestianni S. (a cura di), La pericolosa relazione tra migrazione, sviluppo e sicurezza per esternalizzare le frontiere in Africa. Il caso di Sudan, Niger e Tunisia, ARCI, 2018.
Stege U., Esternalizzazione delle politiche migratorie dell’Unione europea: focus su alcuni paesi del Maghreb in Molfetta M. Marchetti C. (a cura di), Il diritto d’asilo. Report 2019. Non si tratta solo di migranti – L’Italia che resiste, l’Italia che accoglie, Editrice Tau, Todi, 2019
Una riflessione ben fatta e precisa. Complimenti!